L’immaginario collettivo è un traditore. Ci aiuta a capire il mondo – soprattutto quello più difficilmente raggiungibile – sottraendolo alla sua molteplicità fattiva e rendendolo rappresentazione. Ci aiuta viceversa a rappresentare un luogo – pur non essendoci mai stati – usando gli strumenti, spesso sdrucciolevoli, della fantasia.
Se da un lato l’immaginario collettivo è rassicurante perché ci offre un mappamondo di visioni altrimenti oscurate dalla distanza geografica, dall’altro è violentemente sorprendente in quanto falso. L’immagine di un luogo o di un popolo o di un oggetto ha senso fintanto che non viene sostituita dalla realtà. Sostituita, dico. Che la maggior parte delle volte non significa confermata.
La rappresentazione di un luogo è una complicata serie di negoziazioni. Come può l’artista demistificare gli stereotipi, riassumere l’esperienza, interpretare la memoria e la storia?
Un giorno di qualche anno fa, una ragazza del Kentucky si innamorò di un ragazzo cajun in Louisiana. Lui faceva lottare i galli e i due, insieme, facevano gite in canoa sulla palude finché la canoa non si perdeva. Quando si lasciarono lei si innamorò di un altro ragazzo cajun e con questo andrò a vivere in una casa di cipressi dentro il bayou. Insieme andarono a fare una gita a New Orleans e lei sniffò cocaina dall’unghia di un barbone. Quando si lasciarono lei continuò a vivere in Louisiana e diventò una fotografa.
Faccio fotografie in Louisiana e parte del mio lavoro è costituita da una dettagliata ricerca di rappresentazioni di consumo di questo posto nelle forme della letteratura, del cinema e della musica. Queste rappresentazioni convogliano in una fantasia della Louisiana. Tale fantasia rivaleggia con il mio desiderio di realizzare un ritratto realistico perché l’idea stessa di “ritratto realistico” è una fantasia. Le mie fotografie ritraggono la tensione tra questi due desideri e si situano in quell’esile spazio tra la realtà e le nozioni consolidate di verità.
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Questa è una delle mie Figurine, la collezione di curiosità americane più o meno introvabili.
Livello di introvabilità di questa figurina: medio.
È stata tratta (e liberamente tradotta) dal
profilo Instagram del dipartimento foto del New Yorker (che vi straconsiglio di seguire). Ogni settimana l’account viene affidato a un fotografo con il preciso intento di raccontare i lati più nascosti, originali e interessanti di un luogo o di una comunità del mondo. Stacy Kranitz ha scelto la parte sudoccidentale della Louisiana, una zona geografica abitata per lo più da cajun (discendenti dell’antica Acadia o Nuova Scozia nel territorio canadese), fantasmi, rovine e tradizioni culturali tra le più autentiche del paese. I suoi lavori Don’t Drop the Potato e The Island ritraggono un mondo che l’immaginario collettivo avvicina a New Orleans ma che invece la realtà dimostra essere unico e decisamente diverso. Mi sono innamorata di queste fotografie perché mi hanno ricordato la mia Louisiana, rotta e umida e spiritata, e perché Stacy le ha presentate su Instagram scegliendo per ognuna di loro un corredo artistico: un libro, una canzone, un film. Che è proprio quello che piace a me.
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Se le Figurine vi piacciono e volete collezionarle tutte, una volta al mese affacciatevi qui, nella vostra nuova edicola americana del cuore. Non si fanno mai promesse che non si possono mantenere ma io vi dico che qui di doppioni non ne troverete mai!
La realizzazione grafica delle Figurine (prima e seconda edizione) è a cura dell’ormai leggendario e fedelissimo Thomas Guiducci.
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