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Immagine del redattoreLa McMusa

Guida all'ascolto del podcast Renegades: Born in the Usa (Part 2)

L’ex presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama e la rockstar Bruce Springsteen si sono seduti davanti a un microfono nell’enorme studio-fienile di quest’ultimo nel Great State of New Jersey e hanno cercato di dare una risposta a un’altrettanto enorme domanda di partenza: cosa significa essere americano oggi?

Dopo aver ascoltato le risposte che hanno cercato di dare nelle prime tre puntate (qui la Part 1 di questa guida), parlando soprattutto del problema razziale dell'America, delle loro infanzie e del rapporto con le proprie comunità di appartenenza, nella quarta e nella quinta puntata Bruce e Barack si soffermano su qualcosa che, pur cambiando forma di era in era e pur mostrandosi sempre imperfetto e incompleto, resta uno dei pilastri della cultura statunitense: il sogno americano.

Mettetevi comodi, allora, e schiacciate PLAY.

Buon ascolto!



A parer mio la puntata più bella di tutta la serie, è proprio nelle sue prime battute che Obama pone esplicitamente la domanda: cosa vuol dire essere americano? E risponde facendo riferimento al modello più stereotipato: quello degli anni Cinquanta, per cui contavano una buona posizione lavorativa, una famiglia, una casa confortevole e una macchina. Solo che, dice subito dopo, questo modello è stato sì quello di un americano per lungo tempo, ma di un americano uomo e bianco. Da questo modello erano escluse le donne e i non bianchi. Barack, allora, punta a una sola di quelle caratteristiche: l'amore per la strada, l'idea di libertà e di reinvenzione di sé che solo la strada può dare. E, per farlo capire agli ascoltatori, i due registrano la prima parte della puntata proprio on the road, a bordo della Corvette di Bruce!


È proprio quest'ultimo che racconta di non aver avuto la patente fino a 24 anni: andava in giro facendo l'autostop e per portare in giro le ragazze be', si arrangiava in altro modo. Il suo primo viaggio sarebbe stato un lungo coast to coast fino in California, mosso ovviamente dalla musica (ma quel viaggio non fu certo un granché, racconta). Intorno al minuto 11' Springsteen ricorda che durante la guerra in Vietnam l'America aveva smesso di essere wide open e romantica: aleggiava una forte paura, un'emozione che lui avrebbe cercato di mettere nelle sue canzoni di allora. Anzi, più precisamente, le fece raccontare proprio ai personaggi delle sue canzoni, che erano sempre in movimento su una macchina.


Obama interviene subito dopo per dire che non c'è nulla di più americano della sensazione di andarsene via da dove si è: la provò anche lui, pur vivendo nelle paradisiache Hawaii! Del suo primo roadtrip sul continente l'ex presidente ricorda le macchine del ghiaccio nelle stazioni di servizio e le piscini nei motel. E poi quella spinta che è la quintessenza del viaggio americano: ti metti in strada per scoprire chi sei. Percorri un sacco di strada cercando di cambiare te stesso, continua Barack, solo che quando arrivi a sera, da solo, provi una certa nostalgia, vorresti che intorno a te ci fosse una comunità. C'è solitudine sulla strada, la pop culture lo racconta molto bene: Obama si sofferma qui su una breve carrellata di modelli maschili che culminano con John Wayne. Bruce Springsteen fa senz'altro parte di questa carrellata: lui, racconta, non voleva fermarsi mai, e questo era un problema. Aveva bisogno di essere libero e, allo stesso tempo, di fermarsi e mettere radici. Di essere addomesticato.


Una cosa simile accadde a Obama quando si trasferì a Chicago e conobbe Michelle: sentì che quello sarebbe stato il mondo per lui. E quella spinta in avanti, la spinta che lo ha fatto sentire essentially American (siamo intorno al minuto 26'), l'ha ritrovata nello Space Program della NASA.


Nell'ultimo quarto d'ora di puntata il discorso si sposta su toni più politici: Bruce torna a parlare della guerra in Vietnam e racconta come riuscì a scamparla, facendo in modo di non passare la visita medica. La sensazione di disillusione che quella guerra portò all'intera nazione, tuttavia, la sentì eccome: verso il minuto 40' Bruce parla proprio di perdita dell'innocenza. Fu la prima volta in cui l'America perse la sua strada. E Barack chiude l'episodio ricordando la differenza tra chi la guerra la fa in camicia a Washington e chi invece la combatte sul campo con coraggio.



Ai loro tempi possedere una certa quantità di soldi conferiva un certo senso di dignità. Anche se i soldi non erano molti. Poi qualcosa è cambiato e ognuno ha cominciato a pensare per sé. In questa puntata si tratta il tema dei soldi, inscindibile da quello che va sotto il nome di sogno americano.


Bruce si sofferma sulla Freehold degli anni Cinquanta, la cittadina del New Jersey in cui trascorse l'infanzia conducendo una vita modesta ma in cui non gli mancava nulla e soprattutto di cui non percepiva la differenza con quella degli altri. Non c'erano ragioni per provare vergogna. Il college, certo, quello era un big marker, un elemento che faceva la differenza, ma non si provava livore verso chi aveva di più di te o verso la ricchezza. Questa cosa sarebbe cambiata negli anni Ottanta. Anche Obama racconta la povertà della sua infanzia: era povero ma non si sentiva tale. Vivevano in una casa molto piccola a Honolulu ma neanche a lui mancava nulla. Fu con Reagan che cambiò tutto: il materialismo entrò nelle case delle persone tramite i media e il messaggio che veniva lanciato era che se non possedevi questo o quello non eri abbastanza! Manhattan nei primi anni Ottanta fu l'epicentro di questo cambiamento... un cambiamento che fece nascere disuguaglianze di cui sono vittime per primi i neri, che rimangono senza lavoro.


Springsteen intorno al minuto 17' racconta di aver scritto la canzone Atlantic City per raccontare una paura che sentiva nell'aria: stava cambiando il sistema del lavoro e questo si rifletteva anche nella sua famiglia. Quella di Obama, invece, affrontava una certezza che è rimasta tale: il sogno americano non è mai stato raggiungibile per gli afroamericani. È stata proprio questa certezza a spingerlo a intraprendere la carriera politica, in primis per fare qualcosa per se stesso. Era in cerca di una salvation per sé e per un buon pezzo d'America.


A questo punto Bruce racconta un momento molto particolare della sua carriera, ovvero quando si rese conto di essere diventato ricco e di sentirsi in colpa (non mi merito una casa, una macchina, una famiglia): si stava allontanando dalle storie dei suoi protagonisti e dei suoi ascoltatori. Lui era in cerca di una redemption e per questo decise di rimanere fedele alla sua comunità: non andò mai a vivere fuori dal New Jersey, continuò a frequentare gli stessi locali e gli stessi amici di sempre. Per arrivare a quella redemption era necessaria una connection. Una cosa simile viene raccontata anche da Obama, che ripercorre i posti che ha frequentato con Michelle alle Hawaii e si rende conto che rappresentano a tutti gli effetti una scalata sociale: dall'hotel bettola a quello di lusso. La cosa che ricorda con maggiore intensità, però, è che in ognuno di questo posto loro furono felici allo stesso modo. Sono gli elements of joy che contano.


Anche in questo caso la conclusione della puntata è politica: bisogna raccontare una nuova storia di realizzazione del sogno americano, una storia che non sia piramidale. Non si sta meglio avendo tante persone sotto di sé: questa visione crea ansia e insicurezza (e non c'era ai tempi in cui Obama e Springsteen erano giovani, mentre è quella con cui ha trionfato Trump). Il successo individuale non passa attraverso l'azzeramento di quello degli altri: la parola che deve guidare questa nuova storia è empowerment.



[To be continued...]

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